A Casa - ritorno al sé


Sono tornato a casa. 

Quante volte, ogni giorno, sentiamo questa frase? Quante volte nella vita?

Bisognerebbe soffermarsi per ogni singolo caso ad analizzare ciò che c'è dietro a questa espressione; è abitudine sedimentata ormai intendere il ritorno a casa come rientro al luogo natio, la scuola di vita dove ci siamo preparati al mondo, l'involucro che ci ha protetto e che assume un richiamo sempre forte, anche per i viandanti che scelgono (o no?) di vivere parte della loro storia altrove.

Il concetto di casa ha significato soprattutto per l'essere: non sempre meta lontana, a volte può trovarsi a pochi passi da noi; di certo un bene primario, materiale e immateriale, agognato da tanti, consolidato da altri con impegno e sacrifici; il luogo delle relazioni, ove mettersi a nudo e abbandonare il vestito sociale che indossiamo quotidianamente, per trovare ristoro, accudire e assecondare la parte più autentica di noi. 

Spesso è un posto in grado di evocare ricordi allacciati alla stagione di un'età, è vestigio di cose care che ci accompagnano nel cammino delle scelte a poco a poco compiute. Bachelard definisce la casa come uno spazio che racchiude e comprime il tempo attraverso memoria ed immaginazione, che funge da eco e contenitore di valori di intimità capaci di ritrarre in modo esatto il nostro mondo interiore. 

Succede infatti che quando si perde una casa si ha come la sensazione di smarrirsi. Oppure nel lasciare il posto da cui si proviene, anche con l'intenzione di farvi poi ritorno, abbiamo come la pretesa che tutto rimanga immobile ad aspettarci, credendo nell'inganno che il tempo non passi e non usuri pian piano le cose fuori e dentro di noi, trasformando gli angoli che avevamo imparato a memoria.

Esiste, accanto all'abitazione, al contesto fisico inteso come riparo, l'aggettivazione della casa come luogo d'identità personale, primo universo della nostra individuazione e affermazione.
Heidegger associava il concetto di essere con quello di abitare; dunque "io sono" altro non significherebbe che "io abito". Essere nel modo, affermare la propria essenza entro certe coordinate spazio-temporali, senza intaccare in questo modo il valore sacro e storico della casa come focolare.

Anche Jung interpreta la casa come simbolo dell'IO, utilizzando l'allegoria con gli strati della psiche: il tetto e il piano superiore ritratto del pensiero e della funzione cosciente; la cantina specchio dell’inconscio e istinto; la cucina come parallelo della capacità di trasformazione, mentre la scala è mezzo di unione fra i diversi livelli. 
Ancora, la casa può essere assimilata al corpo umano, combinando senso funzionale e simbolico: ogni casa ha aperture e chiusure (porte e finestre), connessioni tra interno ed esterno; così come i legami che in essa si creano. Non nasce come luogo finito ma sempre in divenire.

A volte casa è un posto, una persona, chi non c'è più o chi deve ancora arrivare...altre volte casa sei tu, cosciente di quanto appreso fino ad ora.

Sei tu quando hai bisogno di tornare, tu quando hai voglia di andare, tu quando ti guardi intoro e credi di essere sempre nel posto sbagliato. 
E chi vuole sempre essere in viaggio? In fondo, forse, è perché non si sente mai davvero a casa, o perché è alla vera e costante ricerca del suo posto nel mondo, del suo stare nel tempo.
Al riguardo, avrai tante case, tanti ricordi, ma non saprai mai davvero dove ritornare, disseminato col cuore e con la mente in ogni piccolo centimetro di terra in cui avrai provato a dire 

"eccomi, finalmente".

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