Non c'è guerra che tenga



Pensavo che la prima e l'ultima volta in cui avrei dovuto portare cibo in scatola e medicinali in un punto di raccolta fosse post terremoto dell'Aquila, nel 2009. 
Avevo 15 anni e il ricordo di quella notte è vivido in me. Soprattutto mi torna alla mente il bisogno di fare qualcosa per chi stava soffrendo più di me, per chi aveva perso ogni cosa che con fatica nel tempo aveva costruito, per le persone che non c'erano più. La mia era stata solo fortuna: non mi trovavo nel posto sbagliato al momento sbagliato. 

E invece i punti di raccolta oggi sono tantissimi intorno a me; si mobilitano città, cittadini, Stati.
Perché la guerra in Ucraina è appena cominciata e i titoli dei giornali, in un dualismo continuo tra ottimismo e disperazione, non rispecchiano minimamente quello che succede nei posti in cui da poco più di una settimana si chiudono scatole, si smistano beni che con grande fretta si inviano al fronte

Che anacronismo parlare di fronte; il 2022, l'anno in cui la medicina sconfigge il Covid-19, l'anno in cui le macchine sono elettriche (ed è la normalità), l'anno della famigerata e irrealizzata transizione ecologica. Accanto a questo, nel cuore d'Europa si torna al fronte, cadono le bombe, si lanciano i missili, si imbracciano fucili e si monta su carri armati. 

Queste parole sembrano ancor più marcate se scritte su una pagina bianca: le sentiamo estranee, quasi aliene, in bianco e nero spuntano fuori dalle pagine della nostra Storia, a ricordarci che gli errori del passato stanno tornando prepotentemente a sgretolare le convinzioni del presente

Suona quanto mai attuale la proposta hegeliana di pensare alla guerra come momento strutturale costitutivo della Storia. Il filosofo idealista infatti attribuiva alla guerra un alto valore morale, sottolineandone i tratti di necessità ed inevitabilità, sebbene in un contesto socio-culturale completamente differente.
Sono stati in molti a caldeggiare una vera e propria "guerra per giusta causa", istituita da un'autorità legittimante, che perseguisse i giusti fini (San Tommaso, 1225-1274 d.C.). Addirittura per Eraclito "un'eterna pace" non era altro che un'illusione, poiché l'ordine sociale gerarchicamente ordinato si determina necessariamente con la coesistenza degli opposti; dunque posta la pace andava posta anche la guerra.

Ciononostante, ci sono state visioni in aperta opposizione a queste che hanno evidenziato le caratteristiche peggiori portate a galla da ogni guerra, con tratti più attuali che mai.
Erasmo da Rotterdam considerava l'uomo in guerra come la peggiore delle bestie, che non fa la guerra alle altre specie per la sua naturale affermazione, piuttosto dichiara guerra a se stessa, fino a giungere a una "reciproca rovina".
"Homo homini lupus", affermava Hobbes.
Più tardi Kant spiegava come l'egoismo umano e l'istinto di sopravvivenza si manifestassero nella guerra e solo le sue terribili conseguenze avrebbero condotto gli uomini, prima o poi, verso la pace.

Da qui, da queste riflessioni sgorga l'imprescindibile abbandono di ogni idea che vi possa essere una guerra giusta. Ce lo insegnano anni di combattimenti senza vincitori ma con troppi vinti, disgrazie raccontate e altre celate per vergogna e incapacità di motivarne la vera essenza. Tornano a farcelo presente le persone che ogni giorno scappano dalla morte, inneggiando alla vita.

Davanti alla tragedia che nel 2022 vive questo mondo stanco e impaurito, non ci sono molte parole che suonino adatte, né moniti da rincorrere, né preghiere da riscrivere.
Solo una cosa: la vita umana non ha prezzo. Nessuna, indistintamente.





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